martedì 1 maggio 2012

Ripercorrere: Compagna Suggestione


Erano anni in cui un'utopia ci formava, forgiava le nostre menti per prepararci all'ora X. Come al solito, noi giovani cresciuti senza una guerra sulle spalle, ma solo alle spalle, l'ora X la pretendevamo, volevamo tutto e subito.

Ero prossima alla laurea in Lingua e letteratura francese, la mia tesi era sul maggio 68, 42 libri di bibliografia tutta in lingua e tante, per il professore troppe, considerazioni personali. Dovetti riscriverla secondo il consueto copia e incolla. Ero stata in Francia come ragazza alla pari, mi chiamavano Louis, sebbene fossi una donna. Bevevo molto caffè, nulla a che vedere con quello dell'Italia meridionale, ma era di tendenza trascorrere ore a dialogare del comunismo e del PCI con troppi rubli per essere bello, erano consociativi e questo era inammissibile.

Una volta vidi la farfalla di Dinard, ma la politica era più importante. Una morale, un'amorale tutta nostra, niente Stato o partito, niente popolismo: Lotta Continua. Lotta Continua, un imperativo, un movimento, un giornale, una sinistra tutta italiana e un po' francese. A Parigi la vita era diversa, gli stimoli intellettuali, culturali e sociali erano infiniti; crebbi a vista d'occhio. Leggevo Proust, Baudelaire, Sartre, Foucault, Rimbaud. Ogni mattina andavo alla Sorbonne e studiavo il diritto allo studio; andavo in fabbrica e partecipavo alle assemblee operaie.

Avevo solo vent'anni quando tornai a Salerno. La campagna e il panificio, questa era la vita dei miei genitori e dei miei zii. La notte facevano il pane, il pomeriggio zappavano. Io studiavo, facevo movimento, gridavo contro i sindacati. Ero antifascista e provavo un odio viscerale verso i partiti di governo; si sa, quegli anni erano così. La resistenza era la rivoluzione dei nostri padri, una rivoluzione interrotta da portare a compimento; il fascismo era ovunque e andava abbattuto.

All'università occupammo diverse aule e i professori seguivano le nostre lezioni. I cortei erano violenti, i fascistini picchiavano ma non restavamo certo a guardare. Durante le manifestazioni capitava che i vecchi bigotti ci chiamavano "puttane", che le vecchie bigotte ci chiamavano "puttane".

Noi lottavamo per loro e contro di loro, lottavamo per noi, per respirare, per crescere.

Alcuni poi, andarono a fare movimento a Roma, li ritrovammo sui giornali, c'era scritto che erano terroristi,  Brigatisti, ma non era vero - anche io dicevo di essere per la Lotta Armata, ma di fatto sognavo di diventare una hostess di volo - poi qualcuno è morto sparato.

Di quegli anni ricorderò le riflessioni alla fine di ogni assemblea sul diario, le letture di Pasolini, i manifesti e la colla, gli striscioni e la rabbia. Erano anni in cui l'utopia ci formava, forgiava le nostre menti per prepararci all'ora X.

Continua il percorso: 
Ripercorrere: La cento e 4
Ripercorrere: Questo sconosciuto

3 commenti:

  1. Osservo un batuffolo di storia sensata per una volta!Anche se mi sembra...autolesionismo

    RispondiElimina